C’è un fenomeno subdolo che sta caratterizzando sempre più aziende anche nel nostro Paese. Oltreoceano lo chiamano employee silence, termine che i nostri esperti di gestione delle risorse umane hanno tradotto con “silenzio organizzativo” e disegna lavoratori che preferiscono non esprimere la propria opinione o non condividere importanti informazioni – spesso in merito a potenziali problemi organizzativi – con capi e colleghi. Un trend da non sottovalutare non solo perché rischia di sfociare in un pericoloso disengagement delle persone, ma anche perché, a lungo andare, finirebbe per pesare sull’efficienza organizzativa dell’azienda, dunque sulle sue performance mettendone a rischio la competitività.
Le cause
Secondo gli esperti l’employee silence può nascondere un’insoddisfazione sulle condizioni lavorative, ma può essere anche alimentato dalla scelta deliberata delle persone di non condividere le proprie idee, opinioni e informazioni con gli altri membri dell’organizzazione. Mentre nel primo caso il silenzio verte sulla mancata lamentela nei confronti del datore di lavoro, nel secondo si tratta di omettere importanti input per il miglioramento dei processi aziendali, riguardanti per esempio il modo in cui si svolge il proprio lavoro. E questo si traduce in un mancato vantaggio per l’organizzazione, che deve fare in modo di trarre più benefici possibili dalla conoscenza e dal comportamento innovativo del proprio capitale umano.
Le soluzioni
Gli studi sul silenzio nelle organizzazioni dimostrano che alti livelli di silenzio sono legati ad alti livelli di stress, insoddisfazione e disengagement, che a loro volta impattano sulla performance e la retention dei dipendenti. È quindi necessario per le imprese cercare di controbilanciare i fattori che intimoriscono i dipendenti attraverso appropriati stili di leadership, un clima organizzativo positivo e ambienti di lavoro collaborativi. Tutti fattori che favoriscono la sicurezza psicologica dei membri dell’organizzazione e ne riducono la tendenza a rimanere in silenzio.
Per il management, quindi, questo si traduce nel considerare gli strumenti e i canali a disposizione dei dipendenti, capire come questi incidano sulla scelta di rimanere in silenzio ed eventualmente prevedere forme più appropriate per risolvere il problema. Un meccanismo di partecipazione, per quanto apprezzato dai dipendenti e da loro utilizzato, non per forza è utile a superare il silenzio. I lavoratori, ad esempio, possono apparire molto coinvolti nelle riunioni e partecipare attivamente fornendo rilevanti input, ma necessiterebbero anche di strumenti anonimi per potersi esprimere liberamente o segnalare comportamenti poco etici di colleghi e superiori senza temere possibili conseguenze. Per questo motivo, è opportuno per le organizzazioni prevedere un sistema dedicato al silence e un sistema dedicato alla voice, in modo tale da garantire la sicurezza psicologica nel primo caso e riconoscere l’importanza del contributo dei dipendenti nel secondo.