IL FUTURO DELLE PENSIONI NELLE MANI DEI MIGRANTI

(Immagine di freepik)

«Le proiezioni demografiche indicano che nei prossimi decenni si ridurrà il numero di cittadini europei in età da lavoro e aumenterà il numero degli anziani. Questa dinamica rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici.  […] Anche misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari costituiscono una risposta razionale sul piano economico, indipendentemente da valutazioni di altra natura. L’ingresso di immigrati regolari andrà gestito in maniera coordinata all’interno dell’Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l’integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro».

Le parole di Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia all’ultimo meeting di Rimini, non lasciano molto spazio all’interpretazione anche perché si basano su numeri reali. Basti dire che oggi in Europa ci sono circa tre persone in età lavorativa per ogni anziano, ma ce ne saranno meno di due nel 2050. E in Italia la musica non cambia. 

Mancano giovani lavoratori

«L’invecchiamento tendenziale della popolazione è sicuramente una delle due principali ragioni dietro alle affermazioni di Panetta», spiega Emilio Reyneri, professore emerito presso il dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi Milano – Bicocca sulle pagine de il Libero Professionista Reloaded. «Mancano giovani da inserire nel mercato del lavoro italiano, e se una soluzione – come è avvenuto in Francia – è l’allungamento dell’età pensionabile, l’altra è indubbiamente l’ingresso di lavoratori da oltre confine».
E la tenuta del welfare è forse quella con i maggiori tratti di complessità, poiché il sistema delle pensioni nel nostro Paese si basa fondamentalmente su un patto tra generazioni, per il quale la popolazione in età produttiva di oggi sostiene quella di ieri. «I numeri e le proiezioni demografiche chiaramente mostrano che questo patto non può continuare a reggersi», afferma Reyneri.

Alta domanda di basse competenze

Un discorso a parte, va poi fatto anche sulla tenuta delle varie parti dello stato sociale e soprattutto su quanta e quale sia la capacità di generare valore da parte del sistema produttivo e, quindi, su quali siano le caratteristiche della domanda di lavoro sul mercato italiano.

«Il nostro sistema produttivo si basa su una domanda di lavoro a basso o bassissimo livello di competenze», osserva Reyneri. «Da noi il grosso dell’offerta di lavoro proviene dal settore dei servizi, da quello dell’agricoltura, dal manifatturiero e da quello delle costruzioni. Un’offerta che non riesce a essere soddisfatta dalla manodopera nativa che, soprattutto nelle generazioni più giovani, ha un livello competenze più elevato, tanto da trovare occupazione in altri segmenti produttivi», prosegue Reyneri. «Non è un caso che da noi arrivino immigrati con gradi di specializzazione inferiore rispetto al resto d’Europa anche perché, in caso contrario, non sapremmo nemmeno dove impiegarli. Oltre al fatto che, in area Ue, il nostro Paese è meno attrattivo rispetto ad altri in termini di salari».

La regolarizzazione dei migranti, insomma, pare essere importante per mantenere in equilibrio il mercato del lavoro e soprattutto il nostro sistema welfare.

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