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Vero, il tasso di disoccupazione italiano ha toccato il livello più basso da quando esistono le serie storiche, scendendo al 5,7%. Percentuale positiva, anche perché inferiore alla media europea e a quella di paesi come la Francia, la Spagna, la Danimarca.
Ma il vero nodo critico italiano è il tasso di occupazione che, invece, ci posiziona all’ultimo posto in Europa, nonostante sia anch’esso a livelli record in questo momento (62,4%), ma comunque lontano da quello spagnolo (66,6%), francese (69,4%), danese (77,3%) e greco che supera quello italiano dell’1,5%.
Tanti numeri, una spiegazione
Come è possibile avere un tasso di disoccupazione sotto la media europea e uno di occupazione all’ultimo posto? La risposta la dà Francesco Seghezzi Presidente di ADAPT: «Il convitato di pietra di questa analisi è il numero di inattivi, ossia le persone che non solo sono senza lavoro, ma che non lo cercano neanche. Un indicatore che ci vede al primo posto in Europa, con il 33,7% di persone inattive tra i 15 e i 64 anni rispetto a una media del 24,4%.
Troppo spesso tendiamo a considerare il dato sulla disoccupazione senza metterlo in relazione con l’inattività e, così facendo, dimentichiamo che i disoccupati possono diminuire anche se diventano inattivi, non solo se trovano un lavoro. Ed è quello che è successo in Italia nell’ultimo anno, nel quale il tasso di disoccupazione è calato a vantaggio sia di quello di occupazione, sia di quello di inattività che, dopo un lungo calo negli ultimi anni, è ormai stabile dal gennaio del 2023».
È importante, quindi, considerare tutti i numeri del mercato del lavoro nel loro insieme. Per esempio, se prendiamo l’ultimo anno possiamo vedere come, in numeri assoluti, gli inattivi siano cresciuti tanto quanto gli occupati mentre se consideriamo la crescita percentuale gli inattivi crescono quasi il doppio. In questi dati si annidano i primi segnali del rallentamento economico che soprattutto il settore industriale sta vivendo, con l’aumento dei lavoratori in cassa integrazione, persone che vengono considerate inattive da Istat a partire dal terzo mese in questa condizione.