A che punto siamo in Italia con la parità di genere? In occasione dell’8 marzo ci è sembrato giusto fare alcune riflessioni su un punto così importante per le donne e per l’intera economia del Paese. Ma anche le ultime ricerche sul tema evidenziano un quadro desolante confermando che abbiamo ancora molta strada da fare per raggiungere l’obiettivo sia da un punto di vista di sistema Paese sia per quanto riguarda il mondo aziendale e del lavoro.
Lo conferma anche lo studio Gender Gap e lavoro in Italia realizzato da Francesco Baldi, Massimiliano Parco e Valerio Mancini della Rome Business School, in base al quale il tasso di occupazione femminile nel nostro Paese nel 2023 era del 52,2% contro il 65,7% della media Ue.
Se poi spostiamo il focus sulle donne ai vertici, la situazione è ancor più sconfortante, basti dire che su 17mila imprese italiane, solo il 28% dei manager è donna e il 19% occupa una qualifica dirigenziale (Osservatorio 4.Manager 2022), con un incremento annuo del +0,3% negli ultimi 10 anni; mentre a livello di ceo la quota è ferma al 24%. I settori con il maggior numero di donne al vertice sono Oil & Gas (39%), Healthcare (38%) e Servizi Finanziari (38%), le percentuali più basse nei comparti elettricità, gas e acqua, Trasporti e Real estate.
I lavori di cura continuano a essere un freno
Il peso che grava sulle spalle delle donne è costituito principalmente dai lavori di cura. E’ vero che, dal 2014 al 2021, il rapporto tra tempo dedicato dalle lavoratrici di età compresa tra 25 e 44 anni alla famiglia e il tempo dedicato allo stesso da entrambi i partner è costantemente diminuito, passando da 67 a 62,6, ma resta il fatto che nelle coppie il carico continua a pendere maggiormente sulle donne, soprattutto in presenza di figli e o di genitori anziani da accudire.
Così molte donne per conciliare la vita lavorativa con quella familiare sono costrette a richiedere il part- time, il che significa stipendi più bassi che si traducono in pensioni più basse a fine carriera. Ma anche tra quelle che lavorano full time la situazione non brilla in termini di stipendio. Fra le competenze delle donne e la loro retribuzione, non c’è infatti corrispondenza, tanto che il gender pay gap persiste in ogni ambito anche se più attenuato in quello pubblico rispetto al privato.
Il report della Rome Business School evidenzia, infatti, che nel 2014 la retribuzione lorda dei lavoratori dipendenti italiani maschi è stata di € 11,9/all’ora, € 1,1 in più rispetto alla retribuzione mediana delle dipendenti donne (€ 10,8/all’ora) . Da allora il divario salariale è rimasto pressoché invariato: in base agli ultimi dati disponibili Istat, le donne ricevono, infatti, una retribuzione con un valore mediano di € 11,4/ all’ora, mentre il genere maschile guadagna fino a € 12,5/all’ora.
Gender pay gap più alto nella finanza e nelle assicurazioni
Come viene specificato anche in un articolo del Sole 24 Ore, l’ampiezza del divario differisce in base ai settori Ateco di appartenenza dei lavoratori, come evidenzia lo studio: «In Italia, il settore della finanza e delle assicurazioni è quello dove mediamente il personale dipendente gode di uno stipendio più elevato ed è quello nel quale si registra (dopo il settore minerario estrattivo) il più ampio divario salariale tra uomini e donne».
Eppure, in base a diversi studi, una maggiore e migliore presenza delle donne sul mercato del lavoro non può che far bene all’economia in generale. Per l’Istituto Europeo per la parità di genere (EIGE), una diminuzione delle disparità porterebbe a un aumento del PIL pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6% entro il 2050.
Forse è arrivato il momento di andare oltre le operazioni di facciata e di iniziare a fare qualcosa di concreto anche a livello di politiche sociali.